Marlene Dietrich 5/8
“È un privilegio femminile essere insensata” una delle frasi simbolo di una delle dive della prima metà del 900, l’Angelo Azzurro per antonomasia, ha lasciato un’impronta duratura attraverso la recitazione, le sue immagini e il suo canto, con le canzoni arricchite da una voce ammaliante e sensuale.
Ci guarda in maniera ammiccante, e ci fa un occhiolino sensuale quasi ipnotico, anche lei nell’atrio del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Mann. Lediesis la ritrae vestita col suo iconico smoking e cilindro.
Ma dietro l’Angelo Azzurro, di paradisiaco c’era poco o quasi nulla, come ha raccontato la figlia Maria Riva, nel libro The Life. Un brutto carattere, varie fobie, alcolismo, pesanti ritocchi estetici, dalla nota bisessualità e i molti amanti, Maria rivela che dietro la bellezza sofisticata e sensuale della madre, che aveva poco di materno, si nascondevano brutte verità.
Nata a Schöneberg, oggi quartiere di Berlino, dal 1907 al 1919 frequentò le scuole di Berlino e di Dessau, piccolissima, iniziò a studiare, francese, inglese ed il violino e il pianoforte, però a causa di uno strappo ai legamenti di un dito della mano fu costretta ad interrompere lo studio della musica strumentale, e si diplomò come cantante all’accademia di Berlino.
Calcò le prime scene dei teatri di Berlino nel 1922, ed iniziò ad ottenere piccole parti in alcuni film muti. Arrivò anche per Marlene forse l’amore, un aiuto regista Rudolf Sieber, da cui ebbe la sua unica figlia Maria. Finalmente nel 1929 le fu affidata la sua prima parte da protagonista nel film “Die Frau, nach der man sich sehnt”. La pellicola le fece da trampolino di lancio per il film che le aprirà le porte anche degli Stati Uniti, difatti lo stesso anno firmò il contratto per interpretare il film che le diede la fama, “l’Angelo Azzurro”, con la regia di Josef von Sternberg, tratto da un romanzo di Heinrich Mann, fratello del più famoso Thomas Mann.
Il primo film sonoro della storia del cinema tedesco, la vide esprimere con il suo personaggio, Lola Lola, tutta la sua sensualità di donna, la pellicola venne girata in versione multipla, sia in tedesco che in inglese e i costumi furono disegnati da Marlene stessa, in seguito tutti i suoi abiti sia per la scena che per la sua vita privata saranno disegnati dal sarto Travis Banton. È proprio in questo periodo che il regista la convinse a farsi togliere quattro molari e la mise a dieta ferrea, così da darle un aspetto più drammatico, oltre che sensuale.
Dopo l’uscita del film, la stampa berlinese la proclamò una star, capace di mettere in secondo piano la prova recitativa del grande attore Emil Jannings. L’attrice diventò simbolo di femminilità misteriosa, ma nello stesso tempo ironica e sfrontata. L’America ed Hollywood la chiamavano e Marlene rispose, riuscendo ad ottenere un contratto con la Paramount, che cercava in quel momento un’attrice da contrappore alla divina Garbo della MGM.
La Paramount però dovette cedere ad una sua richiesta che si rivelerà onerosa per gli studios, Marlene chiese ed ottenne quella di poter scegliere il regista dei suoi film, una condizione maturata per paura di perdere la collaborazione di Sternberg. Fu proprio in questo periodo che Sternberg le scattò la famosa foto vestita da yachtman, che venne diffusa dalla Paramount con la frase lancio dell’immagine da diva di Marlene “La donna che perfino le donne possono adorare“. Il glamour e l’alone da star che diede quell’immagine spazzò via tutte le remore e le preoccupazioni della Paramount, che invano aveva tentato di proibirle di mostrarsi in pantaloni, a quell’epoca indossare vestiti maschili per una donna era quasi considerato un atto sovversivo.
Dal 1930 al 1935 girerà sei film con Sternberg, di cui divenne anche l’amante anche se era sposata, passeranno alla storia le loro tensioni e i loro litigi sul set.
Il suo primo film americano fu “Marocco” al fianco di Gary Cooper, Marlene ottenne la candidatura all’oscar e da quel momento divenne tra le attrici più pagate del suo tempo. In “Marocco” memorabile ancora oggi, fu la sua performance canora vestita da uomo, ed il bacio che si diede con una donna del pubblico, una scena che resterà una delle prime rappresentazioni di un bacio omosessuale della storia del cinema.
In “Shanghai Express” il suo look venne accuratamente studiato. Vennero disegnati per lei vestiti neri che la snellissero e piume nere di gallo da combattimento. Nel film il “Cantico dei Cantici”, però Sternberg si rifiutò di dirigerla, ma le suggerì di chiedere che la regia venisse affidata a Rouben Mamoulian, cosa che lei fece puntualmente dato che aveva una libertà contrattuale in merito alla scelta dei registi.
I film successivi, sono tutti su uno sfondo fantasiosamente esotico della sua immagine da diva, come era accaduto con il primo successo americano. Accade nel film “L’imperatrice Caterina “che secondo la critica fu “forse il più affascinante film di Sternberg interamente dominato dalla presenza dell’eros” , e nella pellicola “Capriccio Spagnolo”, ultimo film con la regia di Sternberg. In questo film venne sottolineata la grande professionalità e determinazione di Marlene. La disciplina che pretendeva da sé stessa era spasmodica con un’interpretazione perfetta, che andasse a coprire eventuali mancanze sul profilo dell’interpretazione drammatica. Marlene per dare al personaggio di Conchita una sfumatura più mediterranea, cercò di scurirsi gli occhi, usando un collirio per dilatare le pupille, ma questo le comportò la difficoltà di muoversi sul set. Dovette confessare a Sternberg la sua cattiva trovata ed egli la rassicurò trovando una soluzione, usando un pezzo di carta che copriva una parte del riflettore che illuminava il suo primo piano, riuscì a darle la sfumatura cercata.
Ma a quanto perfezione ed a inventiva neanche Sternberg scherzava. Il regista aveva ideato per la presentazione di un personaggio, un primo piano di un palloncino che scoppiando avrebbe mostrato il volto di Marlene. Le venne chiesto di resistere impassibile allo scoppio evitando il riflesso naturale di sbattere almeno le palpebre, si sottopose ad estenuanti prove, ma alla fine Marlene riuscì nella sua prova eseguendo come sempre una corretta perfomance.
Una donna fatale, trasgressiva, dominatrice, altera, fiera, ma il suo tratto più originale, che ai ben pensanti ed ai puritani, magari o quasi sicuramente avrà fatto storcere il naso fu il fatto che Marlene era capace di avere un rapporto duplice con entrambi i sessi, il tutto trattato in maniera esplicita.
Apertamente atea, e bisessuale, ebbe molti amanti famosi: Hemingway, John Wayne, Kirk Douglas, Frank Sinatra, Greta Garbo ed Edith Piaf.
Con Hemingway, si incontrarono nel 1934 a bordo dell’Ile de France che li portava entrambi dall’Europa agli Stati Uniti. Le due icone della letteratura e del cinema iniziarono a scambiarsi, in quasi trent’anni, una corrispondenza epistolare tenera ed appassionata, un’amicizia che sfociò in un forte sentimento ma che molto probabilmente si fermò ad un amore platonico, mai consumato sul piano fisico.
Nella sua autobiografia Marlene scrisse di lui “L’ho amato immediatamente e non ho mai smesso. L’ ho amato platonicamente. Dico questo perché l’amore che sentivamo l’uno per l’altro è stato un amore eccezionale nel mondo in cui viviamo: un amore puro, assoluto. Un amore non attraversato da dubbi, un amore oltre l’orizzonte, oltre la tomba anche se so per certo che ciò non esiste”.
Nel 1937 divenne cittadina americana e durante la seconda guerra mondiale girò l’Europa e il Nord Africa per intrattenere le truppe statunitensi dove cantava in inglese, la canzone tedesca Lili Marleen , che divenne un po il suo inno. Questo suo supporto alle truppe americane le fece conferire la medaglia della libertà.
Goebbles la invitò spesso a tornare nella sua Germania di Hitler, ma lei si rifiutò sempre e viste le sue attività antinaziste la Francia le conferì la legion d’onore.
Dagli anni cinquanta i suoi impegni cinematografici divennero sempre più radi, cosi su consiglio del commediografo Noël Coward, si esibì in spettacoli in cui cantava le canzoni dei suoi film ed intratteneva il pubblico con monologhi estemporanei. Gli spettacoli organizzati dallo stesso Coward furono portati in giro per il mondo con enorme successo.
Da li lo slancio per ritornare sul grande schermo con due ultime grandi prove da grande attrice nei classici “Testimone d’accusa” di Billy Wilder e “L’infernale Quinlan” di Orson Welles, mentre nel 1961 diede un’ottima interpretazione in “Vincitori e vinti”, capolavoro di Stanley Kramer dove recitò accanto a Spencer Tracy, Maximilian Schell, Burt Lancaster, Montgomery Clift e Judy Garland. Per la sua performance in questo film, Marlene vinse il David di Donatello Speciale.
Ma iniziò un po’ per volta l’oblio della grande stella, secondo alcune fonti, i primi problemi di salute dell’artista si manifestarono per la prima volta nel 1972, quando uscendo di scena da uno spettacolo al Queen’s Theatre di Londra cadde, ad aggravare ancora di più la situazione fu un’ennesima caduta, dopo un esibizione in Canada.
Marlene si lasciò convincere per l’ultima volta ad apparire sul grande schermo nel 1979 interpretando la baronessa in Gigolò di David Hemmings con David Bowie.
Sei anni dopo, nel 1984, l’attore Maximilian Schell le dedicò un film-documentario. Non camminava già quasi più a causa di una frattura al femore, provocata disse Marlene da una caduta in bagno mentre era, completamente ubriaca. Inoltre pretese e ottenne dal regista di non apparire, se non in materiale di repertorio, e di far solamente udire la propria voce. Poco dopo questo documentario le sue condizioni di salute peggiorarono e finì per immobilizzarsi del tutto. Morì il 6 maggio del 1992 e fu sepolta a Berlino nel cimitero di Friedhof III, accanto a sua madre.
Il cinema e non solo, con Marlene ha avuto una ventata innovativa ed all’avanguardia, lei è riuscita a diventare un’icona di seduzione e forza, riuscendo letteralmente a sfondare il grande schermo e diventando una figura emblematica ed intramontabile, una delle donne che hanno caratterizzato il novecento. “A qualunque donna piacerebbe essere fedele. Difficile è trovare un uomo a cui esserlo”.