Ogn’anno, il due novembre, c’é l’usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll’adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero”


Con l’inizio di una delle più famose poesie di Antonio de Curtis, in arte Totò, mi piace iniziare a raccontare le usanze che qui a Napoli, usiamo fare nei giorni dedicati ai defunti e alla festa di Ognissanti.


Per una volta non guardiamo alle feste estere come  Halloween con il suo famoso “dolcetto o scherzetto” ma rimaniamo qui in casa nostra, nella nostra città, piena di usanze, storia e riti.


Come dice Totò prima di tutto è usanza recarsi al cimitero, ma la notte prima del 1 novembre è uso accendere un lumino per chi non c’è più, come simbolo di un ricordo che rimane sempre vivo. Ma si sa che qui a Napoli esiste un filo sottilissimo tra sacro e profano…

Si usa ancora in molte case lasciare le tavole imbandite per dare ristoro ai defunti che vanno in visita per le case. 


In questi giorni di ricordo dei defunti non ci si reca solo nei cimiteri ma anche in altri luoghi, che sono parte integrante della storia della tradizione popolare napoletana.


La popolazione si divideva dall’andare a trovare i morti al Cimitero delle Fontanelle, nella Chiesa di San Pietro ad Arama e nella Chiesa di Santa Maria delle Anime del purgatorio ad arco.


Luoghi in cui ancora oggi si trovano le famose anime del purgatorio, morti senza nome, che venivano adottati dalle donne napoletane, che con le loro preghiere “refrescavano ” la loro anima.

Per ricordare i defunti un tempo 
c’erano gli scugnizzi che giravano per strada con delle scatolette per la raccolta di offerte, con un teschio disegnato sopra.

Facendo la questua dei morti  ripetevano questa filastrocca

Signurì ‘e muorte!
Sott ‘a pettola che nce puorte?
E nce puorte ‘e cunfettielle…
Signurì ‘e murticielle!”

Molte persone intimidite dall’esuberanza dei bambini che saltavano attorno a loro o per paura di essere presi in giro o per simpatia lasciavano qualche monetina nella preziosa urna.


Di questa usanza della cascettella ormai rimane solo il ricordo, difatti l’ultima volta che è stata vista in città, questa sorta di piccola processione risale al 1975.

Ma anche qui, se vogliamo, esiste una piccola parte goliardica, in questi giorni in cui dedichiamo i nostri ricordi ai defunti.


Anche qui abbiamo l’usanza di preparare dolci e regalarli. Oggi è rimasta ben salda la tradizione di preparare il torrone e di regalarlo ad amici e familiari, dolci che secondo l’usanza sono i doni che i defunti fanno ai vivi.


Difatti viene chiamato proprio il Torrone dei morti morbidi e al cioccolato con la forma di una cassa da morto, che assomiglia proprio a una “cascettelle”.


Regalarlo significa esorcizzare l’angoscia della morte. Il torrone originariamente era preparato con cioccolato nocciole o mandorle  oggi le pasticcerie ci propongono svariati gusti.


Ogni famiglia poi, ha una sua usanza ed una sua ricetta. A casa mia mio nonno preparava il torrone semplice con zucchero e mandorle, con una forma lunga che sembrava un sigaro  che veniva chiamato “ll’uosso ‘e muorto”.

Mi raccomando, in questi giorni regaliamoci dei pezzettini di torrone per addolcire ed addolcirci la giornata, condividendo con i nostri amici e le nostre famiglie le nostre tradizioni.

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