Ha inaugurato, con tre giorni di ritardo, la stagione d’Opera del Teatro di San Carlo, priva della rituale serata di gala, annullata per le tristi vicende di cui è stata vittima Casamicciola.
Don Carlo poco più ché adolescente reduce da un’infanzia vissuta tra la perdita della figura materna e l’incombenza e distanza di un nonno ingombrante come Carlo V, e nonostante la cristallina interpretazione di Matthew Polenzani, a distinguersi è stato il Rodrigo, di uno spettacolare Ludovic Tézier.
Il grande baritono francese si è trovato persino più dei suoi colleghi in sintonia con il regista e la sua visione di modernità: «Mi piace dire che molto spesso si tenta di portare la modernità in opere ambientate in epoche passate – afferma Tézier – riflettiamo che invece oggi l’attualità, con i suoi orrori delle guerre e delle intolleranze, propone scenari da epoche di barbarie, e non si tratta di finzioni teatrali».
Questo il commento a caldo: Ailyn Perez in Elisabetta di Valois, ha fatto emergere quei diversi aspetti della vocalità sopranile nel Verdi che di lì a poco di Aida renderà nitida la sua idea di musicalità rivale di Elisabetta ha avuto le splendide scenicità e vocalità di Elina Garanča, una Eboli privata dell’amore.
Il basso Michele Pertusi nel ruolo di Filippo II ha ben disegnato un personaggio consapevole della limitatezza del proprio potere, tanto nei confronti della Chiesa del Grande Inquisitore interpretato da Alexander Tsymbalyuk, l’Orchestra è giunta in ottima forma all’importante appuntamento e Valčuha si è guadagnato un posto d’ onore con buoni risultati in una complessa concertazione, fermamente intenzionato a lasciare un segno del suo lungo incarico di direttore musicale del San Carlo.
Una serata dunque bella, armonicamente perfetta; tutto in tono con la superba bellezza del Teatro ancora attivo, più antico d’Europa.
Un momento della città e per la città, la Napoli mondana e colta. Che il nostro splendido teatro dell’opera, possa essere uno specchio nitido, nel quale tra i velluti delle sue poltrone respirare un po’ di quello splendido passato che ci contraddistingue.