Marina Abramovic 6/8


Dall’Accademia di Belle Arti di Belgrado, al grande successo internazionale, Lediesis non poteva non omaggiare, nell’atrio del Museo Archeologico nazionale di Napoli, Mann, una delle performance artists più famosa al mondo.

Ci strizza l’occhio con la sua lunga treccia nera, lei Marina Abramovic, un artista unica, che spingendosi anche oltre i suoi limiti fisici e psicologici, ha emozionato ed emoziona ancora oggi generazioni intere, guadagnandosi, sotta sua stessa ammissione, il soprannome di “nonna della performance art”.

Classe 1946, nata a Belgrado, nipote di un patriarca della chiesa ortodossa serba, il quale successivamente fu proclamato santo, i suoi genitori furono partigiani della seconda guerra mondiale. Suo padre Vojo fu un comandante riconosciuto, dopo la guerra, come eroe nazionale, mentre la madre Danica, maggiore dell’esercito, alla metà degli anni sessanta fu nominata direttore del Museo della rivoluzione e Arte in Belgrado. Marina ebbe la sua prima lezione d’arte a soli quattordici anni, quando chiese ai genitori di comprarle dei colori. Il padre si presentò a casa con un amico, il quale iniziò col tagliare a caso pezzi di tela. Una volta messi a terra li ricoprì con della terra, della colla, della sabbia, del pietrisco, del bitume e vari colori dal giallo al rosso. Alla fine dopo aver cosparso tutto con la trementina, mise un fiammifero al centro della composizione e lo fece esplodere dicendo “Questo è il tramonto”. Dal 1965 al 1972 frequentò l’Accademia d’arte di Belgrado, i professori dell’accademia sostenevano che fosse completamente matta e che non sarebbe mai diventata un artista.

La sua rigida educazione si scontrava con gli ideali della cultura sessantottina, con la voglia di libertà e creatività delle nuove generazioni, ma il sessantotto è anche un anno di disillusioni per il regime, e di rivolte studentesche, a cui Marina partecipò attivamente.

Iniziò ad insegnare all’Accademia di belle arti di Novi Sad, fino al 1975 e nel frattempo iniziò a creare le sue performance. Espose i suoi primi lavori artistici, per la maggior parte quadri ed istallazioni, nel centro studentesco di SKC. La sua arte e la sua storia sono ancora oggi oggetto di discussione e controversie.

Venne conosciuta in Italia nel 1974, dove presentò la sua performance “Rhythm 4”, esposta a Milano, nella Galleria Diagramma di Luciano Inga Pin. La performance consisteva nel mettersi in ginocchio da sola e nuda in una stanza, con un fon industriale ad alta potenza. Marina si doveva avvicinare lentamente alla ventola, tentando di ispirare quanta più aria le era possibile per spingere al limiti i suoi polmoni, dopo poco perse conoscenza.

Spingere al limite il corpo e la sua resistenza. Questo nuovo modo di fare arte nacque come provocazione rispetto alla pittura. Il corpo diviene l’elemento principale della prestazione artistica. L’artista deve vedersi come un guerriero che conquista se stesso e la disciplina e lo stato d’animo giocano un ruolo fondamentale.

Il mondo in cui crebbe e le diverse relazioni affettive avute con i suoi familiari lasciano un impronta importante nella maggior parte delle sue opere, da una parte la rigidità e la disciplina di stampo comunista, datole dalla madre, e dall’altra la profonda spiritualità della nonna.

Arrivò anche a Napoli nel 1974, la performance fu svolta nello studio Morra. In “Rhythm 0” Marina mise su un tavolo a disposizione del pubblico diversi strumenti con cui infliggere dolore o piacere, mentre lei sarebbe rimasta ferma e in stato passivo per sei ore. La cosa particolare fu che nelle prime tre ore la timidezza del pubblico permise che l’atmosfera rimanesse calma e controllata, nelle ultime ore invece i partecipanti incominciarono a infierire su di lei con oggetti affilati e taglienti.

Gli spettatori sono parte integrante dei suoi spettacoli tanto che tutti, ad eccezione di uno, sono stati svolti in presenza di essi. Il pubblico completa la performance, è lo specchio dell’artista, esso stesso soggetto ed allo stesso tempo oggetto. Il performer cosi invia un messaggio che deve essere recepito e ascoltato dal pubblico.

Nel 1976 lasciò la Jugoslavia per trasferirsi ad Amsterdam. In quell’anno conobbe un altro artista tedesco Ulay, tra i due nascerà una collaborazione e una relazione. Un amore erotico, intenso, folle e dalla duplice lama quello tra i due artisti, da in lato in grado di ispirare la loro arte, di provocare il pubblico invitandolo a riflettere, ma anche a consumare le loro stesse esistenze.

Molti dei lavori di Marina saranno legati alla relazione e alla collaborazione con Ulay. Faranno grande uso delle tecniche di respirazione, meditazione, purificazione e digiuno, imparate grazie al soggiorno presso varie tribù aborigene australiane. Grazie a queste tecniche perfezionate nacque performance estrema “Gold Found by the artist” del 1981.

Ma il rapporto tormentato tra i due ebbe fine dopo dodici anni nel 1988, e scelsero un modo singolare per dirsi addio con la performance “The Lovers,The Wall Walk in China”. Inizialmente, quando la coppia pianificò il viaggio, intendevano sposarsi al centro della grande muraglia cinese, ma il destino invece volle diversamente, facendo finire l’amore, e ciò che era iniziato come la celebrazione di un matrimonio si trasformò in un addio. Partendo rispettivamente dai capi opposti della muraglia, si incontrarono a metà strada per dirsi addio per sempre.

Nel 1997 vinse il Leone d’oro alla Biennale di Venezia con l’esecuzione “Balkan Baroque”, “guardavo spesso le nuvole mentre ero sdraiata sull’erba, e un giorno la mia vista è stata improvvisamente interrotta da aerei, che sono apparsi dal nulla e hanno lasciato un bellissimo schema nel cielo. In quel momento, mi sono resa conto che tutto poteva essere usato per creare e che non c’era motivo di limitarmi alla pittura in studio”

Pioniera della performance degli anni settanta, Marina ha spesso superato i suoi limiti fisici che psicologici, ha infranto schemi e convenzioni, portando l’arte a contatto sia con l’esperienza fisica che a quella emotiva, collegandola alla vita stessa.

Marina ha reso celebre il suo percorso artistico con la sua performance al MoMa “The artist is present” del 2010. L’artista rimase seduta per sette ore e mezza ogni giorno per tre mesi, lasso di tempo in cui il pubblico ebbe la possibilità di sedersi davanti a lei. Ma un giorno ci fu una persona inaspettata che si sedette davanti a lei Ulay. Ulay si sedette di fronte a Marina e guardava negli occhi la donna amata per oltre un decennio. Un confronto silenzioso e intenso, i due si scrutarono, sorridevano senza mai abbassare lo sguardo e al termine di un lunghissimo minuto si strinsero le mani, scatenando l’applauso dei presenti. Il video divenne virale.

Tra le sue perfomance più famose è “The Abramovic Method, 2012”, svoltasi a Milano presso il PAC. Il “Metodo Abramović”, nasce da una riflessione che l’artista ha sviluppato partendo dalle sue ultime tre performance, ”The House With the Ocean View “, “Seven Easy Pieces”  e “The Artist is Present”, esperienze che hanno segnato profondamente Marina, nel suo modo di percepire il suo lavoro e il rapporto con il pubblico. Pubblico guidato e motivato da un artista, e invitato a vivere e sperimentare le sue installazioni interattive. Opere con cui il pubblico interagisce in piedi, da seduto o sdraiato, realizzate con minerali e legno. L’esperienza è fatta di buio e luce, assenza e presenza, portando a percezioni spazio temporali alterate. La performance consiste nell’entrare nel mondo del silenzio, lontani dai rumori, e rimanere soli con se stessi per allontanarsi poche ore dalla realtà. Lady Gaga grande fan di Marina, ha partecipato a questa iniziativa, postando un video della sua performance.

Un artista che non finirà mai di stupirci, difatti ha rivelato che la sua ultima perfomance sarà il suo funerale, ha deciso che tre bare saranno spedite nelle tre città in cui ha trascorso la sua vita Belgrado, Amsterdam e New York, ma nessuno saprà mai in quale di esse sarà sepolta veramente.

“Piu’ pensi alla morte e alla mortalita’, piu’ apprezzi la vita. Perche’ cosi’ non butti via il tuo tempo. Ma invece stai concentrato sul momento”.

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